Pazar, 26 Kasım
Cinezam: Una donna promettente
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Una donna promettente
Emerald Fennell
26/11 ore 21
cinezam
La trentenne Cassie ha buttato al vento ogni speranza: da quando ha abbandonato
gli studi di medicina lavora in un piccolo bar, vive coi genitori e ogni weekend
gira per locali facendosi abbordare da sconosciuti. Cassie in realtà ha un
piano: fingendosi ubriaca, intende dimostrare come ogni uomo che la abborda
nasconda il desiderio di violentarla o possederla con la forza. Nel suo passato
c'è un trauma che ha segnato il suo destino, un evento che l'incontro con Ryan,
ex compagno del college, riporta a galla. Combattuta fra l'interesse per Ryan e
il desiderio di chiudere i conti con il passato, Cassie darà una direzione
definitiva alla sua vita.
Il film più ideologico del cinema hollywoodiano contemporaneo è una riflessione
in chiave dark sulla cultura dello stupro e la sua accettazione come sistema di
potere.
Negli Stati Uniti ci è voluto un anno, dalla presentazione al Sundance nel
gennaio 2020 all'uscita nel dicembre successivo, per fare di Una donna
promettente un caso: nomination ai Golden Globes come miglior regista per
Emerald Fennell, ex attrice al primo lavoro per il cinema; nomination come
miglior interprete femminile per Carey Mulligan (e possibile Oscar fra qualche
settimana); polemiche virali per una recensione di gennaio di Variety smentita e
corretta undici mesi dopo dalla stessa testata («Variety sincerely apologizes to
Carey Mulligan and regrets the insensitive language and insinuation in our
review that minimized her daring performance»); osanna generalizzati della
stampa americana che ha esaltato la capacità del film di cogliere nel segno
(«Puck the punch», ha scritto IndieWire) e di «ribaltare gli elementi più noti
di un genere dark raccontando il senso di colpa condiviso da chi detiene il
potere» (New Yorker).
È difficile, in effetti, trovare un film più attuale e aggiornato ai diktat
hollywoodiani di Una donna promettente, a partire naturalmente dal tema dello
stupro e della sua accettazione in una società retta da principi di potere
paternalisti e maschilisti. Trentatré anni fa, nel 1988, Jodie Foster arrivò al
suo primo Oscar per aver interpretato la parte di una donna violentata e capace
di accusare i suoi violentatori: il film si chiamava Sotto accusa, l'aveva
diretto un uomo, Jonathan Kaplan, e nonostante la forma oggi sorpassata del
crime movie e del film processuale era in grado di inserire la cultura dello
stupro in una cornice sociale, punendo la colpa degli stupratori con gli
strumenti della legge.
È significativo, invece, che a tre decenni di distanza, lo stesso tema sia
trattato in una chiave totalmente soggettivizzata, con la protagonista del film
che, ferita da una violenza subìta non in prima persona, non solo si trasforma
in una vendicatrice, ma addirittura, nella sua parabola simbolica e narrativa,
si pone oltre la legge e oltre il film stesso (di cui è eroina e
deus-ex-machina).
L'ex donna promettente Cassie, incapace di laurearsi, di affrancarsi dai
genitori, di trovare un lavoro degno delle sue capacità, infantilizzata dal
trauma (si traveste di continuo, rifiuta la sessualità, si relaziona con gli
altri sputando, vive bloccata in una logica di provocazione e rivalsa), ha
trasformato lo stupro nel principio generatore della sua identità, portandolo da
una dimensione collettiva a una personale e personalizzata (l'esatto contrario
di quanto scrive il New Yorker, insomma).
Cassie (a cui Carey Mulligan offre un volto e un corpo di notevoli capacità
mimetiche, tanto fragile quanto aggressiva) non alcuna ha possibilità di
evoluzione, è parte di un meccanismo ripetitivo e invariabile (la donna debole
abbordata dall'uomo prevaricatore), valido più di qualsiasi sentimento o
affezione verso i personaggi. La forza di Una donna promettente - e va detto la
sua ambiguità ideologica - sta proprio nella scelta di campo estrema: per la
regista e sceneggiatrice Fennell lo stupro è un demone e la colpa di chi l'ha
perpetuato una colpa collettiva, senza redenzione né per i colpevoli, né per i
personaggi all'apparenza positivi (e la svolta narrativa del prefinale è davvero
un colpo basso), né per la stessa protagonista.
A dimostrazione del tentativo della regista di portare il vecchio cinema
d'impegno civile nei territori intimisti e ironici dell'indie (una formula
esaurita anche a livello stilistico, iperrealista, colorata e griffata ma
vittima della sua stessa consapevolezza, come nella scena da commedia romantica
accompagnata da una canzonetta di Paris Hilton), il film sacrifica sull'altare
della lettura politica ogni aspetto narrativo e ogni possibilità di libertà o di
fuga dall'orrore prestabilito. Viene in mente The Life of David Gale di Alan
Parker, schiarato contro la pena di morte in modo cinico e fintamente
progressista, così come in Una donna promettente il passaggio da un destino
individuale a una condanna comune svuota di valore la missione della
protagonista, dal momento che non viene offerta la possibilità di superamento
del trauma, ma solo la sua trasformazione in feticcio.
È possibile che Una donna promettente diventi un film epocale. È probabile, anzi
certo, che sia un film espressione del proprio tempo, e quindi da prendere sul
serio. Ma lo è altrettanto che giuste cause abbiano bisogno di discorsi più
maturi.
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